Sei qui
Home > News > Coronavirus, colpiti 1900 tra medici ed infermieri

Coronavirus, colpiti 1900 tra medici ed infermieri

Su oltre 2.300 professionisti sanitari positivi a Covid-19 “oltre l’80%, cioè quasi 1.900, sono medici e infermieri. E, per tutti, le prospettive sono quelle di un rischio altissimo senza gli adeguati dispositivi di protezione personale e di un livello di stress per la carenza di organici che lascerà il segno anche dopo l’emergenza Covid-19″. Lo sottolineano in una nota congiunta la Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) e Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), che stigmatizzano kit protettivi inadeguati o assenti e chiedono a gran voce di dare priorità alla sicurezza di chi cura e assiste.

“Nessuno si tirerà mai indietro, è chiaro – affermano Filippo Anelli, presidente della Fnomceo e Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi – e la miglior testimonianza di questo la danno i cittadini con la loro gratitudine e gli stessi professionisti con l’impegno profuso nel salvare vite”. Medici e infermieri del Servizio sanitario nazionale, “oltre 900mila professionisti in prima linea nella guerra a Covid-19”, si uniscono per affrontare gli stessi problemi che le categorie professionali hanno in questo momento: dispositivi di protezione individuale non adeguati ai rischi e ai compiti – se non spesso del tutto assenti – e carenza di personale che costringe a turni ben oltre quelli fisicamente sopportabili. Senza ovviamente nemmeno che si possano rispettare le regole su riposi o alternanza: il personale non c’è.

“Si devono ridefinire le priorità nella lotta al nuovo coronavirus – dichiara Anelli – mettendo subito in sicurezza medici e infermieri, come strategia primaria di sanità pubblica. Sentiamo tutta la responsabilità di rappresentare categorie professionali alle quali non è stato garantito il diritto alla sicurezza. Una situazione inverosimile, indegna di una società civile, che mette in pericolo la salute pubblica. Chiediamo che si individuino i responsabili e che la fornitura dei Dpi diventi una priorità del Governo, un tema di sicurezza nazionale, perché la salute dei nostri cittadini merita questo”.

“È fondamentale – rincara Mangiacavalli – la fornitura di dispositivi di protezione individuale consoni alla situazione, che permettano da un lato la protezione degli operatori per evitare le centinaia se non migliaia di situazioni di contagio tra loro, anche grave in alcuni casi fino al decesso, ma, dall’altro, soprattutto per garantire la sicurezza ai pazienti che altrimenti troverebbero proprio in chi li cura e li assiste una fonte probabile di contagio. Questo ovunque e, in particolare proprio nelle strutture che accolgono i più fragili, coloro i quali tengono alta la percentuale di mortalità, come Rsa e Hospice, dove i fenomeni negativi si sommano e muoiono, specie nelle aree a maggior rischio, decine di persone anziane ogni giorno”.

L’assenza di dispositivi di protezione forniti soprattutto agli ospedali e la carenza di personale lasciano scoperta o rendono pericolosa l’assistenza nelle strutture e sul territorio: “Si intervenga subito, oggi, non domani perché ogni ora persa è una battaglia persa contro Covid-19”, affermano i presidenti delle due Federazioni. Che promettono battaglia: “Una mancata risposta da parte del Governo comporterà azioni forti di protesta”.

Medici Lombardia: “Costretti ad affrontare rischio catastrofico”

Una serie di “mancanze” da parte di ministero della Salute e Regione Lombardia “hanno fatto in modo che i medici si trovassero ad affrontare un rischio catastrofico senza misure di sicurezza adeguate, trovandosi nella condizione di essere involontari potenziali vettori dell’infezione” da nuovo coronavirus che aveva “caratteristiche prima inedite”. E’ duro il ‘j’accuse’ di Paola Pedrini, segretario dei medici di famiglia lombardi della Fimmg, contenuto nella lettera di “diffida e messa in mora” che il sindacato indirizza a dicastero, Regione, Agenzie di tutela della salute (Ats), procuratori della Repubblica, prefetti e Procura generale della Corte dei conti.

Nella missiva si chiede che, entro 72 ore, vengano erogati a tutti i camici bianchi di base e di continuità assistenziale di kit protettivi completi, in numero adeguato e di qualità idonea; di testare l’eventuale contagio di medici, infermieri, personale di studio e, in caso di positività, quello di famigliari e conviventi; di concordare con i sindacati di categoria modalità di arruolamento dei professionisti, di organizzazione e di operatività delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca). Ma le parole più dure si leggono nelle premesse alle richieste.

“Il ministro della Salute e la Regione Lombardia, nonostante le notizie internazionali che fin dalla fine del mese di novembre 2019 evidenziavano un rischio biologico per l’intera popolazione mondiale e la presenza, in Regione Lombardia, di tre aeroporti internazionali – scrive Pedrini – non hanno predisposto alcun piano dei rischi, alcuna sorveglianza sanitaria all’accesso agli ospedali e non hanno previsto un protocollo di sicurezza per l’acquisto di dispositivi di protezione idonei a scongiurare la propagazione del rischio biologico attraverso i sanitari”. E questo “nonostante quest’obbligo di valutazione del rischio biologico sia chiaramente indicato anche nell’art. 271 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81”, nonché “dalle Organizzazioni internazionali, prime tra tutte l’Oms”.

“Non solo”, incalza la segretaria di Fimmg Lombardia: “Non risultano inviati ai medici e alle loro organizzazioni alcun protocollo e/o elenco di dispositivi medici idonei a proteggere dal rischio i medici e il personale di studio, ove presente, in una situazione di pandemia”.

Pedrini fa inoltre notare che, “fin dall’inizio dell’epidemia, i medici segnalarono alle Ats di competenza di essere venuti a contatto con pazienti potenzialmente infetti e richiesero un test di controllo dell’avvenuto contagio. Ancora oggi le Ats lo rifiutano fino alla manifestazione della sintomatologia e, anzi, molti medici nonostante la malattia manifesta sono sottoposti a test dopo molti giorni per assenza di tamponi. Senza entrare nel merito, nella situazione epidemiologica attuale, dell’opportunità e dell’estensione dell’effettuazione dei tamponi – prosegue – agli operatori sanitari tale verifica è stata negata anche nelle fasi iniziali, nelle quali poteva avere un’importante funzione profilattica. Si consideri che in tale fase venivano eseguiti controlli a tappeto su personalità politiche e amministrative. Questi ritardi comportano il rischio che pazienti, famigliari e/o colleghi di lavoro siano infettati senza che alcuno provveda al loro isolamento”.

“Se ciò non bastasse – conclude la sindacalista – nonostante tali rischi fossero stati segnalati ripetutamente e insistentemente sia da organizzazioni sindacali, Ordini dei medici e singoli medici, ancora oggi non sono state fornite protezioni adeguate a fronteggiare il rischio, ove si eccettuino risibili quantità di mascherine chirurgiche monouso del tutto insufficienti a far fronte anche in minima parte alle esigenze”.

Spiderluca
Classe 1977, studi Giuridici ed Informatici. Appassionato di tecnologia e del web fin dai primi anni 90, ha lavorato con i computer per oltre vent'anni ed ancora oggi non smette mai di voler imparare qualcosa di nuovo. Webmaster, tecnico informatico, un passato in HP e titolare di alcuni siti e-commerce italiani.
Top